Lo avevo già detto all’epoca in cui i carabinieri tennero una conferenza stampa per la prima volta, verso la fine del 2020, contro Linea Libera e la mia onorata persona.
Avevo scritto che, fra tutti – in testa Claudio Curreli, il magistrato corrotto che fa di tutto e di più nel silenzio omertoso dei suoi poco onorevoli colleghi (mi limito a riferire quello che vedo e di cui ho le prove) –; fra tutti, dicevo, senza avere svolto accurate indagini e pur sapendo come stavano esattamente le cose, si stavano divertendo a prendere in giro quella giustizia che amministrano (ma evidentemente in maniera ipocrita) “in nome del popolo italiano”.
Ora la situazione si ripresenta ancor più evidente di prima. Ed è questa.
Massimo Donati, sembra essere, con solare evidenza, la corsia preferenziale dell’informazione giudiziaria e il portavoce della procura di Tommaso Coletta.
La Nazione – per quanto ossequiosa al potere democratico – non gode di altrettale stima. Certi favoricchi non sembrano esserle destinati. Il Donati è il primus inter pares.
E èccone – come scriverebbe la Gip infortunata Patrizia Martucci, a cui rinnovo auspici di pronta guarigione – tutti i forti indizi, tali da giustificare un’idea di possibile corruzione a palazzo di giustizia (vedi Ugo Betti).
Nel suo mirabile pezzo del 30 aprile scorso, il tirrènico Donati, dagli argèntei corimbi, scrive che tra le nuove querele – ovviamente frutto dell’idiozia di emeriti quaquaraquà, questo il mio parere – c’è anche quella presentata il 4 novembre scorso dal presidente (?) dell’ordine dei giornalisti della Toscana, Giampaolo Marchini, e:
«Bianchini – cita testualmente il donati – esercita abusivamente la professione di giornalista; Bianchini pubblica articoli quale sedicente direttore responsabile della testata on line “Linea Libera”; il Bianchini continua a diffondere, mediante la testata, articoli caratterizzati dal linguaggio palesemente incontinente, contenuti non verificati e non corrispondenti alla realtà, violando i principi di verità, continenza e pertinenza che caratterizzano la professione giornalistica e sono espressione del diritto di cronaca e di critica; tale comportamento si appalesa fortemente lesivo dei valori e dei principi del giornalismo e integra compiutamente il reato di esercizio abusivo della professione».
Non occorrono né il genio né la creativa sregolatezza di un Curreli scout/pianta-piante o di qualcun altro dei suoi omertosi colleghi della procura (tipo, a caso, Grieco, De Gaudio, Serranti, Contesini, Gambassi, Gaspari, Martucci – salvo se altri) o la finezza del naso di investigatori quali i Pg Panarello dei carabinieri, o chicche & sia altro alla Totò, per evidenziare che il Donati, molto più simpatico e meno pieno di sé quand’era ragazzo di bottega anni-90, ha usato due elementi specifici di incerta provenienza:
1. cita la data della presentazione di una querela di Giampaolo Marchini (la sua figura ve la analizzerò in séguito, perché lo merita assai);
2. cita frasi esatte, tolte con cpoia-incolla, dalla querela stessa del Marchini – che è (per ora mi limito a qualche personale considerazione ex art. 21 Costituzione) un bilioso sostenitore di certa illiceità filo-rossa, assai simile a quella dei suoi amici magistrati, ai quali sembra dare assist ben oltre il consentito.
E allora mi domando, io, stupido, stalker, persecutore, infame, bugiardo, ingannatore, svergognatore, terrorista, stampatore di stampa clandestina e distruttore della nobile arte infinocchiatoria della stampa organica:
1. come ha fatto il fascinoso tombeur de femmes dai corimbi grisé a conoscere la data della denuncia presentata dal Marchini?
2. come ha fatto il nerista-giudiziario con la passione della nautica che, quando è in difficoltà, piglia il largo e scompare, ad essere in grado di citare alla lettera intere espressioni di un atto notificato a me, Edoardo Bianchini, e a Alessandro Romiti e basta?
E le risposte non possono che essere racchiuse nelle ipotesi che seguono:
1. la procura, o chi per essa, ha dato alla volpe argentata copia e/o libero accesso ad atti tuttora interni e d’ufficio;
2. il nerista-giudiziario del Tirreno ha avuto copia degli atti stessi dal sedicente presidente del dis-ordine fiorentino dei giornalisti (le cui avventure narrerò in séguito).
Tutto questo perché né io né Alessandro Romiti né l’avvocato Pamela Bonaiuti abbiamo mai fatto avere alcun foglio scritto al Massimo del Loretino, come veniva appellato (cit. da Gaspari) quand’era un semplice ragazzo di bottega, non ancora iscritto all’albo di cui Giampaolo Marchini si sente deus et dominus, e lavorava al Tirreno in perfetto esercizio abusivo della professione di giornalista.
Ma l’aspetto più viscido, pericoloso, fascistico, omertoso, sodomitico & camorreo di questa vicenda di vomitevole corruzione, sta nel fatto che, all’interno della procura di Tommaso Coletta, sta andando avanti un processo (quello contro Lara Turelli) con un capo di imputazione (fra le altre aggregazioni di minchiate) di violazione del segreto d’ufficio.
Lo stanno portando avanti, con imperterrita pervicacia ossessiva, Leonardo De Gaudio e Luisa Serranti, accanitissimi fino al punto di ledere il sacrosanto diritto alla difesa della Turelli.
Marchini e Donati, informàtevi bene e vedete di scriverne: è contro una comandate perseguitata solo perché rea di non essere sempre stata dalla parte di personaggi particolarmente cari a Curreli e alla procura, quali il mai comandante Andrea Alessandro Nesti, tenuto illegalmente in servizio per 15 anni dagli amministratori di sinistra (sindaci Magnanensi, Ciampolini, Mangoni) e di destra (Benesperi bimbominkia) e da tre segretari generali (Madrussan, D’Amico, Aveta) indenni da qualsiasi contestazione: forse perché organici ai regimi sinistresi di moda e cari alla democratica magistratura pistoiese?
È qui, cari lettori e cari inciucisti corrotti del sistema-Pistoia, che cadono gli asini e che la faccenda-procura si sta arenando ogni giorno di più sulle secche della rabbia che vuole silenziare la verità, la trasparenza, la libertà di parola, di critica, di satira, di segnalazione e di bacchettatura del malcostume.
E sarà bene anche che don Giampaolo Marchini, il moralizzatore del linguaggio altrui, inizi, sin da sùbito, a preparare le prove per poter dimostrare che quel che ha scritto al magistrato contro me e Linea Libera (unico vero organo informatore degno della Toscana libera) non è quella discarica di calunnie ammassate nella denuncia del 4 novembre scorso, solo perché gli ricordo che non sono ossequioso nei confronti del suo potere deviato.
Perché:
1. che io eserciti abusivamente la professione giornalistica è falso
2. che io mi definisca direttore responsabile di Linea libera è falso
3. che i miei articoli registrino un linguaggio palesemente incontinente è falso, e inoltre Marchini non è l’autorità deputata alla censura etico-morale del mio linguaggio né tantomeno è dotato di sì profonda cultura (ed è evidente) da comprendere le differenze continenza-incontinenza, morale-immorale-amorale e satira, ironia e indignazione
4. che io pubblichi contenuti non verificati è una emerita calunnia
5. che, infine, i miei contenuti non siano veritieri è una vera e propria – scandalizzatevi ancora un po’, pie donnine del dis-ordine politically correct – un’emerita stronzata
Qui mi fermo, perché altrimenti finisco a ruminare e vomitare come un altro calunniatore doc, il sindaco Benesperi di Agliana, comunemente appellato (cito ancora Gaspari, anche se Grieco si sentirà offeso…) cacaiola.
Con immutata stima per un tribunale del tutto degno del dramma sopracitato di Ugo Betti.
Edoardo Bianchini [direttore@linealibera.info]
Vi piace la realtà che state vivendo sotto despoti come questi?
Gutta cavat lapidem. Complimenti al Direttore (ma si può dire o mi querelerà qualcuno?)😂