A qualche lettore superficiale parrà forse che il titolo di oggi – seconda puntata sulla corruzione in Piazza Duomo – sia identico a quello di ieri. Gli consigliamo di stare più attento: ieri si partiva con «ordini&procure» mentre oggi con «procure&ordini». Anche se, va detto, mutando l’ordine degli addendi la somma non cambia…
Piazza Duomo a Pistoia è davvero una delle bellezze d’Italia. Ci stona soltanto l’ex-sede Inps.
In essa si raduna la plebe ogniqualvolta c’è da manifestare liberamente (si fa per dire) la propria opinione in nome della libertà di espressione. I temi sono svariatissimi: si va dalla bandiera arcobaleno all’arcobaleno della bandiera.
Si passa dalle manifestazioni per la pace a quelle per la pece: e si vede che l’Italia è, davvero, una repubblica democratica in cui, come ci ammaestra Roberto Benigni, esegeta di Dante e lecchière delle «autorità costituite», ognuno può liberamente esprimersi in opinioni e in piena libertà.
Ma solo se si mantiene al 41° posto nel mondo ed entro i limiti dettati: 1. da Carlo Bartoli e da Giampaolo Marchini, presidenti dei giornalisti di corte, sede di Roma & sede di Firenze; 2. dalla legge, non quella dello stato, ma quella confezionata ad hoc da un sostituto emblema di conclamata corruzione (Claudio Curreli – e ho più volte dimostrato il perché senza che nessuno si sia scandalizzato né risentito); dalla Gip Patrizia Martucci, che decide la chiusura di giornali telematici senza obbedire al diritto di cui dovrebbe essere tutrice; da una giovane sostituta, Chiara Contesini, che, secondo il realismo/materialismo storico di tipo marxista, piovuta a Pistoia (una sorta di Caienna della magistratura), sembra si stia acclimatando all’atmosfera velenosa che vi si respira al terzo piano del Palazzo Pretorio: e, come molti dei suoi colleghi, parla e scrive per editti senza compiere le dovute indagini con l’impegno dovuto.
Mi limito a osservare e a riferire quello che vedo, come un vero cronista.
Tutto questo gratifica assai il presidente/re dell’ordine disordinante e gli iscritti alla consorteria di Vicolo de’ Malespini 1 di Firenze, ora Buckingham Palace del recentemente incoronato Re Giampaolo Marchini I.
Nella bellissima Piazza Duomo di Pistoia, v’è pure un Caffè di gran pregio – e non sto parlando per celia – dove, in pausa pranzo, si trovano e si ritrovano non pochi personaggi frontalieri del palazzo del tribunale: dai semplici impiegati d’ordine, ai direttivi, ai dirigenti e, su, fino ai magistrati. Ma anche gli altri dell’ambiente, pur non dipendenti pubblici.
Io c’ho incontrato anche il giudice Luca Gaspari in compagnia della collega Patrizia Martucci: all’interno e proprio al tavolo accanto al mio. Con Gaspari che, un po’ impacciato, pigiando con troppo vigore il bottone del distributore dell’Amuchina, più che disinfettarsi le mani, si disinfettò la giacca. Ma sono cose che capitano. Anche ai giudici…
Il 4 maggio scorso, invece, a un tavolo del Caffè Duomo, il primo fuori ad angolo (perché il Caffè ha un dehors come si dice oggi per essere fighi) v’eran seduti “tre personaggi in cerca d’autore”.
Lo dico e lo scrivo per il signor procuratore capo Tommaso Coletta, che secreta e limita il diritto alla difesa delle povere “persone comuni” come me; ma anche per re Giampaolo I di Vicolo Malespini e per i suoi fedelissimi iscritti/sudditi che non avranno mai problemi con gli ingiusti giudici di Pistoia perché amebaticamente inerti dinanzi alla corruzione che ondeggia pericolosamente sulla superficie della “degna tana” di Vanni Fucci.
Dante aveva scritto Tre donne intorno al cor mi son venute. Ma, nel caso dei tre del Caffè Duomo, Dante (quasi certamente un avvocato) avrebbe dovuto scrivere Du’ donne intorno al cor…, perché tante erano, per citare Picasso, Les Demoiselles d’Avignon colà presenti in pausa pranzo.
A richiamare la citazion di Picasso e del suo manifesto del Cubismo, m’è scattata l’analogia perché una delle demoiselles era, oltre che ricciutella di mòri corimbi, opportunamente pittata: e vedévasi bene l’elaborazione del tattoo, dacché ella vestìvasi a mezze maniche.
Una d’esse – che lasciava intendere di essere membr-a di una cooperativa di quelle utilizzate dal tribunale, tipo la Ricina socia del consorzio Ciclat, per le registrazioni (trascrizioni di eventi d’aula o intercettazioni più o meno legali del tempio della legge?), più che essere una “donna da dolce stilnovo” dantesco o una vera demoiselle, era – ora Re Giampaolo I di Vicolo de’ Malespini 1 arrossirà siccome verginella simile alla rosa di messer Ludovico Ariosto – piuttosto sfavata. E non ne faceva mistero.
Con molto realismo si esprimeva più o meno così: «Che rottura di palle! Via… vi lascio perché devo tornare al telefono a sentire tutte le storie del cavolo del “sindaco cacaiola” che mi hanno fatto du’ palle tante…!».
La virgolettatura non è citazione: è sintesi del contenuto e dei toni di un metalinguaggio che si capisce solo se si è presenti alla scena.
Forse il pubblico ministero Tommaso Coletta e il suo fidus interpres oraziano, Giampaolo I, si chiederanno che c’entri questa storia con la corruzione a palazzo di giustizia. Ma è presto detto.
Mi viene in mente che Leonardo De Gaudio e Luisa Serranti stanno sciagattando – per non usare mezzi termini – la comandante arrestata Lara Turelli con anche l’imputazione di rivelazione di segreti d’ufficio. E se certe demoiselles ci raccontano, in piazza, in pausa pranzo, delle cacaiole del sindaco di Agliana, Luca Benesperi va tutto bene?
È chiaro che avevo ragione quando nel 1989-90 risposi, senza nessun timore, al procuratore Giuseppe Manchia, che non mi fidavo della sua procura perché quel che vi si dice, dopo due minuti e mezzo è già di dominio pubblico da Piazza del Duono in giù. O sbaglio?
Concludo. Che si aspetta ad arare questo campo incolto e a seminarvi sale, affidato com’è a magistrati che non operano secondo il loro dovere e a giornalisti, iscritti all’ordine, che – come gli avvocati pistoiesi, del resto – vedono tutto e girano il capo dall’altra parte per non cotrariare le «autorità costituite»?
E tali personaggi in cosa sono «costuiti» se non in legami di illegalità, altrimenti definibili come patti e comportamenti di tipo sodomitico-amorreo? Questo io vedo. E questo io commento ex art. 21 della Costituzione più cornificata del nondo.
Si può sapere se, perché e come siamo ancora intercettati, ovviamente a spese del contribuente italiano?
Questa favola è per chi pianta alberini antimafia e si mostra medico dei malanni altrui, ma avrebbe bisogno, in primo luogo lui stesso, di rammentare la famosa frase rivolta dal popolo al ciarlatano spaccone: «Medico, cura te stesso!».
Edoardo Bianchini [direttore@linealibera.info]
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Il Presidente dell’OdG-Toscana, Giampaolo Marchini, lo ricordi per sé e lo rammenti ai passivi iscritti della Nazione e del Tirreno di Pistoia.
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