Maurizio Barbarisi è venuto meno ai suoi doveri di ufficio non rispondendo, sul caso Curreli-Curci, alla richiesta avanzatagli dal «Comitato Perseguitati e Vittime del Tribunale di Pistoia». Si deve dunque puntare il dito contro la sua reticenza che non ha motivo di essere – se non un interesse obliquamente protezionistico in chiave di «prossimità sociali» – dal momento che è stato proprio lui a indicarci la via della trasparenza poi negata al “popolo sovrano”
Non mi sento di dire a Barbarisi Camerata Presidente o Compagno Presidente. Mi salterebbero addosso tutti in un attimo: sarei accusato di fare il politicante ideologico – come se gli altri (avvocati, giornalisti, ruffiani, accoglientisti e terrapertisti fossero tutti santi quali Bonelli e Fratoianni…).
Preferisco, da uomo libero, da cane sciolto, ma indipendente e di fede repubblicana con ombreggiature di laicismo a sfumatura anarchica pur se assolutamente non-bombarola, rivolgermi al presidente del tribunale di Pistoia con un bel tu che si dà anche a Dio. E “appellarlo” – verbo carissimo a Luca Gaspari – cittadino.
«Cittadino Presidente, per piacere, parlaci del tuo tribunale senza niente tacere!». È chiaro il titolo? Se non è chiaro te lo spieghiamo con la chiarezza che non brilla certo all’interno del complesso che tu dirigi:
1. Ci hai detto, per ben due volte, per iscritto, che l’incompatibilità ambientale di Claudio Curreli e di sua moglie Nicoletta Maria Curci – lui sostituto, lei giudice delle esecuzioni, anche (di) capitali e di immobili a marchio Isveg – è nota e presente alla gente romana del CSM-Consiglio Superiore della Magistratura; e che tale onorata società di autogoverno niente ha da dire in proposito. Va tutto bene così.
2. Ti abbiamo chiesto – a te, fiero applicatore dei decreti di soppressione delle testate pienamente legali, ma sgradite a Coletta e ai suoi sept nains –, in nome della trasparenza cui si appella, il gran non-presidente Mattarella, di farci conoscere l’iter romanesco del Csm grazie al quale Curreli&Curci (e non solo) sono superiori alla legge cui i magistrati devono, per Costituzione, sentirsi ed essere soggetti.
3. Te lo abbiamo chiesto con istanza in base alla L. 241/90 e non v’erano limitazioni a conoscere, in quanto – come da te messo nero su bianco – l’incompatibilità dei coniugi suddetti non era segreto di stato né questione di sicurezza nazionale.
4. Ti abbiamo dato i 30 giorni di rito per rispondere, non solo come previsto dalla L. 241/90, ma anche dall’art. 328 cp.
5. Ti abbiamo perfino indicato la necessaria formula obbligatoria, casomai in séguito non venisse in mente – a qualche Panarello che ha smarrito l’ombrello – di suggerire a Coletta che reato non v’è né omissione, datoché non avevamo avanzato richiesta – come già successo in passato – con espressa «diffida ad adempiere». Ma tu ignori tutto: perfino la legge che ti sta sopra la testa ed è tuo vincolo e maestra.
Sbagliamo se diciamo che il tuo tribunale non va come deve andare? E che una parte non indifferente del personale togato (te compreso) viola, con insolita frequenza e inammissibile disinvoltura, da una parte l’art. 358 cp, e dall’altra i dettati costituzionali di cui agli artt. 54 («con disciplina ed onore») e 117 («I giudici sono soggetti soltanto alla legge»), quando vediamo e tocchiamo con mano, avendone prova documentale, che né procura né tu, qual presidente, vi attenete ai vostri doveri di legge?
E con quali diritto e credibilità venite a insegnare l’etica e la morale a chi vi stipendia, se dimostrate di essere delle «autorità costituite» (vedi Gip Patrizia Martucci) che, per prime, violano le leggi in nome delle quali perseguitate e mietete vittime sulla vostra strada, lasciandovene dietro una striscia lunga e lucida come la bava delle lumache?
Non vi sembra un chieder davvero troppo a quel “popolo sovrano” che vi sovvenziona a caro prezzo e non di rado senza alcun apprezzabile, chiaro, trasparente risultato?
Dire questo, Cittadino Presidente, è libera espressione ex art. 21 di Madonna Costituzione, oppure oltraggio a chi, da magistrato, dà pessima prova di sé e del proprio operato?
«Convertitevi!», urlò San Giovanni Paolo II nella Valle dei templi ad Agrigento. Voi e i vostri compari.
Edoardo Bianchini [direttore@linealibera.info]
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