Anche se Buzzegoli, presidente ad acta del secondo riesame come voluto da Coletta & C., recalcitra, accetti con l’umiltà (che spesso non ha) una lezione di diritto su una materia che perfino uno studente del primo anno di giurisprudenza è in grado di capire...
Il 31 dicembre 1925 (in gennaio Mussolini aveva assunto i poteri dittatoriali) fu istituito l’Albo generale dei giornalisti professionisti. Progenitore di quello che oggi chiamiamo Odg, istituito dal regime fascista, regolava l’accesso alla professione, i requisiti per farla, i contratti, istituiva la figura del direttore responsabile e chi poteva diventarlo (solo i professionisti). Norma fascista.
Modificato, riformato durante i primi anni della Repubblica, non senza un’epurazione temporanea dei giornalisti che si erano compromessi con il regime fascista, conclusasi nel 1946 con il loro reintegro in massa deciso dal segretario del Partito Comunista Palmiro Togliatti, l’albo è stato sempre oggetto di dibattito, alcune volte di scontro, anche aspro, nel mondo politico. Se non altro perché è una associazione incostituzionale, collidente con i diritti e le libertà di cui all’art. 21.
Lunga è la fila dei suoi detrattori e non ci sono mai stati grandi sostenitori. Fra i sostenitori, guarda caso, c’è Antonio Gramsci – correligionario del nostro antitarma Canfora – che ne vedeva uno strumento necessario per insegnare strumenti di comunicazione alle masse popolari.
E ovviamente anche il fascismo ne era propugnatore, da cui l’intellettuale marxista (per gli asini si chiarisce: sempre Gramsci) mutuò l’idea della necessità di creare ‘nuovi giornalisti’ (Odg – che però, oggi, sarebbe meglio definire Ogm, organismi geneticamente modificati, basta osservarne il complessivo stupidismo che ci propinano ogni giorno con tutte le cazzate che scrivono).
Dai libri di storia del giornalismo italiano, il primo attacco all’albo risale a Luigi Einaudi. Secondo presidente della Repubblica Italiana (1948-1955), nel 1945, mentre era presidente della Banca d’Italia, alla vigilia della Costituente, scrisse in un passo molto citato: “Albi di giornalisti! Idea da pedanti, da falsi professori, da giornalisti mancati, da gente vogliosa di impedire altrui di pensare colla propria testa”. Proprio come l’OdG di oggi, quello di Carlo Bartoli (nazionale) e di Giampaolo Marchini (Toscana) che ammaestrano le masse con la loro insopportabile sprezzante alterigia figlia della loro educazione filopiddìna, i cui simpatizzanti – presso di loro – godono di guarentigie che puzzano di corruzione partitica.
NEL NOME DEL SIGNORE IN CUI NON CREDO
FEDE IN LEGALITÀ NON HO E NON VEDO!
Convinto sostenitore delle idee liberali, Einaudi sosteneva – contrariamente ai geni anche della liberal-sinistra alle Idi De Marzo della Cassazione con telecomando, e della procura del Pm che perseguita i giornalisti, ma favorisce (si dice) la sorella di Luca Turco – che “giornalisti sono tutti coloro che hanno qualcosa da dire o che semplicemente sentono di poter dire meglio o presentar meglio la stessa idea che gli altri dicono o presentano male… Giudice della dignità o indegnità del giornalista non può essere il giornalista, neppure se eletto membro del consiglio dell’ordine od altrimenti chiamato a dar sentenza sui colleghi”.
E a questo proposito non voglio dire ai lettori di quali e quante oscenità sia responsabile la commissione di disciplina dell’OdG di Firenze. Di cui, prima o poi, pubblicherò gli atti, vogliano o non vogliano Bartoli e Marchini, agli “Ordini” dei quali io, uomo libero e costituzionale, mi rifiuto di prestare giuramento, come i professori universitari che si sottomisero al regime senza fiatare, con un’iscrizione inutile, pletorica, indecente e di legame tipicamente massonico. Mi rifiuto perché, avendo superato l’esame da giornalista professionista, io sono e resto giornalista in nome del popolo italiano come quella schiera di Pm (in questo caso pistoiesi) che, senza vergogna e senza pudore, si divertono, per i loro interessi personali, a perseguitare chi, ogni giorno, come Linea Libera, ha con coraggio e senso civile, nel rispetto della sorella di Mattarella, hanno narrato delle loro inaccettabili manovre e indigeribili traffici a danno della giustizia e della corretta politica.
Occorre, a proposito di questa posizione di Einaudi, far notare il fatto che nei passaggi del documento einaudiano di cui sopra non c’è mai accenno alla veridicità dei fatti (v. Il buongoverno, Laterza 1973, Vol. II pagg. 627-629).
Resta, dunque, il graveolente sospetto che la chiusura di Linea Libera sia un vero e proprio attentato alla Costituzione, perché, in nome di considerazioni che niente di giuridico hanno (ma molto di politico), si è inteso vanificare il dettato costituzionale «La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure» favorendo, in maniera indegna, la prevaricazione di una procura che sembra avere molte più cose da nascondere che non da mostrare per mettere in luce il proprio impegno nella lotta alla corruzione e nel perseguimento del fine della tutela della legalità.
Che a Pistoia non si riesce a vedere: e proprio partendo dal Terzo Piano.
Edoardo Bianchini [direttore@linealibera.info]
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In una nazione in cui i diritti del popolo sovrano vengono ignorati, sviati, distorti, depistati, violentati, travisati come vediamo a Pistoia, nessuna Pasqua può essere veramente buona.
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