La storia della chiusura persecutoria di Linea Libera indica, a chi non è un venduto di cervello, che il fascismo alberga nelle stesse menti sublimi di chi dal fascismo dovrebbe proteggerci h24!
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Dunque cosa succede a Pistoia? Una legge dello stato ci permette di pubblicare Linea Libera in esenzione legale dall’obbligo di registrazione nel [l’in-]brogliacco della stampa del muto Barbarisi, ma Coletta (quello che non intercetta la sorella del suo superiore gerarchico fiorentino Luca Turco) ascolta due emeriti incapaci (Carlo Bartoli e Giampaolo Marchini, uno «che è peggio che andar di notte») e ci spara addosso con infinito piacere. Ne fa, addirittura, un suo cavallo di battaglia.
Non contento, con il Curreli (che lavora contro lo stato in tutti i sensi: se non è vero, ci si spieghi perché non lo è) e la Contesini (una copia-incollatrice standard di livello-Amazon – e c’abbiamo le prove documentali), Tom Col ci sopprime una prima volta e, quando il tribunale del riesame, presieduto da Stefano Billet, ordina la riapertura del giornale, grazie, in ipotesi, a certe sue «prossimità sociali», riesce a farsi fare, in Cassazione, un ordine (non meno fascista del primo sequestro) che impone al tribunale di Pistoia di «credere, obbedire e combattere».
E mentre la Costituzione, svillaneggiata in ogni modo dalla procura pistoiese, è chiara (La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure – art. 21) e in base all’art. 3-bis del Decreto Legge 103/2012 (convertito in legge: quindi alla pari della legge 47/48 di cui abroga le norme non più assolute come la registrazione), le testate periodiche realizzate unicamente su supporto informatico e diffuse unicamente per via telematica ovvero on line, i cui editori non abbiano fatto domanda di provvidenze, contributi o agevolazioni pubbliche e che conseguano ricavi annui da attività editoriale non superiori a 100.000 euro, non sono soggette agli obblighi stabiliti dall’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948 […];
Quel fidus interpres (o “traduttore pedissequo” o “Remigo ai diktat ben ligio”), che si appella Alessandro Buzzegoli, ossequioso nei confronti di Giuseppe De Marzo, decreta – in proprio e in ambigua inopportuna doppia veste: sia come presidente del Riesame 2 – La vendetta, che come estensore-relatore dello sgambetto romano pilotato – l’esecuzione di una testata assolutamente legale, ma indicata come sovversiva, pericolosa e sopprimenda da un maître du droit de la Cassation quale Idi De Marzo che, vissuto a Pistoia, era e resta, sicuramente, il meno adatto a parlare dei problemi del suo ex-piatto in cui aveva consumato i pasti quotidiani di giudice del lavoro.
Almeno se avesse voluto essere rispettoso dei princìpi di terzietà, imparzialità, indipendenza. Tutte cose che la giustizia di casa nostra non conosce: e Pistoja ne è un esempio in carne e in sangue, fate questo in memoria di me.
È un dovere obbedire a chi disonora il nostro ordinamento, ma è inquadrato – come non pochi magistrati suoi colleghi – nelle schiere delle «autorità costituite», dottoressa Martucci che, seguendo questo principio assoluto, mi ha messo agli arresti (mi consenta) del Menga, ma, in termini di metafora, non ha fatto altro che impormi una indegna classica bevuta di olio di ricino in nome del potere detentore perfino dello ius vitae necisque?
Obbedire comunque e senza discutere, non è quello stesso princìpio con cui voi – Pm, sostituti e, in parte, giudici penali di Pistoja – pretendente di affermare democraticamente il principio secondo cui la pura razza ariana alberga solo fra chi può essere iscritto all’Anm?
Se la legge è logica, tutta la vostra legge, che sbarroccia da ogni parte, non è forse anti-legge e, perciò, dittatura?
Perché non osate rispondere? Troppa fatica per degli…dèi?
Edoardo Bianchini [direttore@linealibera.info]
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Vergogna, disonore ed indecenza: di certi magistrati fàmo senza!
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