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dittature d’italia. UNA VOLTA C’ERA IL FASCISMO, MA OGGI, GRAZIE A DIO E NONOSTANTE LA COSTITUZIONE, CI SONO I PM E CI PENSANO LORO

Mattarella ciaccia e ciaccia, ma il potere se ne straccia. Ride, balla e sempre ingrassa, ché nessuno lo fracassa. Pòr’Italia, il comunismo preso ha il posto del fascismo. E, col rosso che imperversa, pòr’Italia, tu se’ persa!



Che Coletta, uno che dice alla polizia giudiziaria «io la Lucia Turco non la intercetto, è sorella del procuratore aggiunto di Firenze Luca Turco»; che Coletta, uno che si presenta al Canto al Balì da Luigi Egidio Bardelli, e dice che a lui le «prossimità sociali» gli fanno una pippa; che Coletta, uno che, sempre al Canto al Balì, si loda perché i suoi paggi non sbagliano più del 26 % delle indagini; che Coletta, uno che viene in aula dinanzi al secondo Tribunale del Riesame di Pistoia e predica a Alessandro Buzzegoli (presidente-relatore), insieme a un sostituto (Curreli) che fa tutto e il contrario di tutto, ma in buona sostanza “fa strame” delle leggi dello Stato a cui si dimostra, nei fatti notori innegabili, infedele dipendente e persona che disonora il dettato dell’art. 54 della Costituzione: che tutto questo, dico, in un paese normale dovrebbe far venire l’orticaria da èmesi [ἔμεσις «vomito», nel linguaggio medico] costituzionale.

E invece… la dittatura piace tanto agli italiani. E gli italiani sono sempre pronti a infilarsi una divisina e un cappelluccio da soldatini dell’obbedisco.

Così il Buzzegoli si è allineato senza fiatare all’ordine di genocidio di una espressa norma costituzionale, solo perché al Coletta, giunto a Pistoia per lavorare per la “gente comune” (teste il Donati del Tirreno), fa comodo strozzare l’unico quotidiano (tra l’altro per legge non tenuto ad alcuna registrazione, autorizzazione o pippa che vi paia), che osa servirsi di un diritto universale dell’uomo – l’espressione del libero pensiero e la libertà d’informazione.


Il grave è che non lo capiscano proprio certi magistrati, gente che non riscuote la pensione minima dell'Inps...

Che gli è espressamente riconosciuto dalla sorella del Divus Mattarella (la Costituzione, secondo Benigni). Una sorella, subito dopo il dicembre 1947, affossata all’italiana con due leggi che (se lo ricordino sia Ser Buzzegoli che Ser De Marzo, bisognosi di ripassarsi il diritto) essendo di rango inferiore, se stampate su carta doppio-velo – diceva il mio capufficio in Comune – possono essere attaccate al chiodo per fare ciò che Renato Fucini, pisano sversato e rozzo, diceva commentando la tassa sui cani: «col foglio mi ci netto e affogo il cane».

Possono la legge 47 del 1948 (norme sulla stampa) e la 69 del 63 (istituzione ordine-cupola dei giornalisti, in cui nuotano Carlo Bartoli e Giampaolo Marchini), nullificare frasi come si leggono nell’art. 21 della Costituzione? Èccole: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». Ci arriva anche uno studente del superiore di oggi, ma non ci arrivano dei magistrati?

Sono il primo io a definirmi un povero “paria contadino”, figlio di falegname; non nobile né rappresentante della cultura borbonica e delle porcellane di Capodimonte; non laureato in legge alla gloriosa Federico II di Napoli (in cui, peraltro, si studia sui miei libri: di me, non di Curreli o di Coletta)… Ma capperi! Non sono mica come quelli che non parlano neppure italiano né lo capiscono anche se si arrogano competenze da Presidenti dell’Accademia Fiorentina della Crusca e della Semola!



Qualche riga d’italiano la so leggere anch’io e pure senza le sbavature con cui loro – i Pm e tutto l’apparato soffocatorio-asfissiante dello “Stato di diritto” – si ingegnano per coprire le voci dei condannati da gente infida e iniqua che delle leggi «fa strame» come piace dire allo scout dei fatti propri e di famiglia (cristiana).

Perché questa, e solo questa, è la realtà dell’oggi. Senza mai aver fiatato, il popolo sovrano ha messo le palle in mano a dei servi infedeli e disonorevoli: né più né meno ciò che accadde all’impero romano, secondo le teorie del Gibbon. I “liberti arroganti” presero sempre più potere, e oggi sono pronti a far muro contro la sovranità costituzionale, peggiori delle orde di Gengis e di Attila, mentre si prendono gioco di tutti nel culilinguo generale ormai accettato come regola di resa e di vita assuccubata ala tirannide.


E non si dica che l'istituto Treccani non è in mano alla sinistra del politicamente corretto...

Ringrazio Mauro Banchini, unico giornalista che mi sostiene da sempre. Ma, come gli ho sempre detto, il mio stile me lo scelgo da me, in quanto professionista. E come cultura romano-occidentale mi indica e suggerisce: senza che debba sentirmi né politicamente scorretto, né leccaculo del potere di chi lo ha.

Omero, alla cui voce mi appendo anche se non più di moda (ma solo per ignoranza generalizzata) ha un’espressione ignota ai somari che intendono tiranneggiarci: hò thymòs anòghei, l’animo mi spinge a… E l’animo mi spinge a dire quello che dico e negli stili con cui mi sento di dirlo anche perché, alla maniera della libertà di espressione cara al commediografo Aristofane, le cose vanno appellate e chiamate col loro nome: «i fichi si chiamano fichi», non farfalline.

Per questo nessuno può dirmi un bel niente al di là della mia retta coscienza, vera o falsa che sia. Questa era la regola cristiana insegnataci da don Gargini alla prim’ora dei catto-comunisti post-sessantottini delle Casermette, dove imperversava il Bardellone, che – metamorfico qual è – oggi ospita Coletti, Curreli e Messine (oltre che messinscena).

Per me rivendico la libertà del «civis romanus sum». Il diritto ai diritti universali dell’uomo. Clandestini, in quest’Italia da depuratore guasto, come il tubone da 8 miliardi costruito a Quarrata (epoca Marini) e mai utilizzato nel silenzio di Pm non migliori di Coletta; clandestini, dico e sostengo, sono, per primi, quelli che si riconoscono come «autorità costituite»: tutte patelle attaccate allo scoglio. Tutti succhiasangue. Tutti legalitari dei nostri stivali se, come vediamo, guardano come gli sciocchi, la punta del dito che indica la luna. E lo fanno – evidentemente – per il loro immondo interesse di potere e basta.

Da Mattarella in giù (non-presidente e sappiamo tutti perché) tutti saldati alla sedia che (peccato!) non è elettrica: e non darà mai giustizia a un popolo in mano ai deprecati fascisti dal 1019 alla Liberazione, grazie alla quale i libertadores (che oggi criticano Putin e applaudono Hamas), si sono presi il posto di un Nicola II Romanov per sostituirsi a lui e molto peggio di lui.

Ogni stato, ha affermato Paolo Mieli, nasce su una rivoluzione e ha le sue radici nell’illegalità. E ha ragione: tanta è quella di chi, nonostante la Costituzione, giunto a impadronirsi di un pezzo di “orto sociale”, s’è messo a coltivarlo appassionatamente con il popò al caldo e ce lo tiene con le unghie e con i denti.

Convertitevi! grida San Giovanni Paolo II. La storia non lo consente e non ve lo consente. Non lo ha consentito a Lenin, non a Stalin. Non a nessuno di chi è stato prima e dopo di loro: fra cui metto anche certi campioni di giornalismo che combattono per la libertà di stampa e di informazione solo se esse possono essere controllate dal dis-ordine di sinistra degli ordini professionali venduti al potere e in grado di mantenere lo status quo, utile e remunerativo per tutti coloro che mirano solo a lucrare.


Peccato, care «autorità costituite» e italiani tenuti a strizzo per le palle, che oggi, in pochi, ma sempre alcuni e indòmiti, anche nipoti di contadini e boscaioli come me, e figli di falegnami che si sono fatti anni di guerra ad Alghero-aeroporto per difendere il sacro Gennargentu dei Curreli e delle pecore, abbiano potuto giungere a quel livello minimo di acculturazione che permette loro (se non sono dei cacasotto) di alzare la voce e di dire, urlando:

Coletta, Curreli, Grieco, Boccia, Gambassi, Contesini, Serranti, De Gaudio, Martucci, Gaspari, Buzzegoli, De Marzo, Azzaroli, Barbarisi, Curci… il re è nudo e voi siete tutti sanculotti, sine subligaculo = senza mutande (tradotto per l’avvocata Elena Giusti).

Esistono, in Italia e a Pistoia, giudici terzi, imparziali e indipendenti? Sì, esistono. Li conosco e bene. Ma non ne faccio i nomi.

Perché, citati a fianco di certi loro colleghi, rischierebbero di fare quello che accade alle pere quando sono ancora dure, se vengono messe fra mele, banane e altra frutta.

Correrebbero il pericolo non di maturare, ma di diventare mézzi, e di rovinarsi quasi di colpo – e non lo meritano.

Edoardo Bianchini [direttore@linealibera.info]

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